Le repressioni tedesche nei confronti dei Polacchi - LE REPRESSIONI -

Niemieckie obozy zagłady i obozy koncentracyjne w okupowanej Polsce

Nawigacja

Le repressioni tedesche nei confronti dei Polacchi

Obiettivi prioritari dell’occupante

Con un particolare accanimento furono perseguitati i Polacchi sospettati di nutrire sentimenti anti tedeschi, di partecipare alla Resistenza e di aiutare gli Ebrei.

L’obiettivo prioritario delle politiche attuate dai Tedeschi in territorio polacco fu l’assoggettamento totale dei Polacchi agli interessi del Terzo Reich (il termine “polacco”, qui inteso come etnico nazionale, non considera la situazione di persone d’origine ebraica, ucraina, lituana ecc. che nel periodo prebellico avevano cittadinanza polacca). Con una campagna del terrore, le fucilazioni, gli imprigionamenti, gli internamenti in campi di concentrazione, si mirava a eliminare i leader reali o potenziali della Resistenza e la classe colta (insegnanti, sacerdoti ecc.) per piegare e ridurre all’obbedienza il resto della nazione. Con un particolare accanimento furono perseguitati i Polacchi sospettati di nutrire sentimenti anti tedeschi, di partecipare alla resistenza e di aiutare gli ebrei. Una nazione senza le sue elites, intellettuale e politica, sarebbe diventata una fonte inesauribile di forza lavoro a basso costo, incolta e ignorante, da sfruttare senza pietà sia nel Paese occupato sia nel Terzo Reich. La politica anti-polacca causò la morte di centinaia di migliaia di persone, e ad altrettante persone disfunzioni fisiche e psichiche spesso di natura cronica, accertate ancora per molti anni dopo la fine della guerra.

I crimini di guerra perpetrati nei confronti dei Polacchi durante l’occupazione tedesca

La politica anti-polacca causò la morte di centinaia di migliaia di persone e ad altrettante persone provocò disfunzioni fisiche e psichiche spesso di natura cronica, accertate ancora per molti anni dopo la fine della guerra

Sin dai primi giorni delle operazioni belliche tedesche contro la Polonia, la popolazione civile subì un’ondata di crimini di guerra perpetrati dalle truppe tedesche. In numerose località ebbero luogo bombardamenti barbari e selvaggi di strutture senza alcun valore militare, finalizzati a suscitare il panico, spezzare il morale dei soldati polacchi e far venire meno la loro volontà di combattere contro i nemico. Elevato al rango di simbolo fu il caso di Wieluń, località nei presi di Łódź, dove tale bombardamento strategico compiuto dall’aviazione militare tedesca (Luftwaffe) rase al suolo gran parte della città non risparmiando né la chiesa cattolica né la sinagoga, né l‘ospedale civile. Simile sorte spettò a molte altre città polacche. Gli aerei da caccia tedeschi mitragliavano spesso anche treni e colonne di profughi civili. In molte località, a battaglia finita, ebbero luogo uccisioni di soldati dell’Esercito Polacco presi in prigionia e di civili catturati nei luoghi ritenuti dai Tedeschi nuclei della Resistenza polacca.

In molte località, a battaglia finita, ebbero luogo uccisioni di soldati dell’Esercito Polacco presi in prigionia e di civili catturati nei luogi ritenuti dai Tedeschi nuclei della Resistenza polacca.

L’avanzata delle truppe tedesche in territorio polacco fu seguita da vicino dalle Eunsatzgruppen, squadre d’azione speciali di polizia che avevano il compito di garantire la sicurezza nelle retrovie. Tale obiettivo veniva raggiunto con le fucilazioni e le deportazioni dei Polacchi ritenuti potenzialmente pericolosi per l’occupante.

 

Perdite personali della popolazione polacca nel 1939-1945

Le repressioni nei confronti dei Polacchi durante l’occupazione

Nei territori polacchi annessi al Terzo Reich i Tedeschi avviarono sin dai primi giorni dell’occupazione attività volte allo sterminio occultate con il nome in codice di intelligenzaktion (operazione “Intellighenzia”), il cui obiettivo fu di annientare le elites locali, quindi di privare la nazione polacca del suo ceto intellettuale e dirigenziale. Le conseguenze più tragiche di tale operazione toccarono la Pomerania: una strage sanguinosa provocata a Bydgoszcz ne diventò il simbolo infausto. La maggior parte dei Polacchi arrestati in Pomerania perse la vita in diverse dozzine di luoghi in cui vennero attuate le esecuzioni di massa, fra cui a Piaśnica nei pressi di Danzica (circa 14 mila morti), nella foresta di Szpęgowsk nei pressi di Starogard Gdański (circa 7 mila morti, fra cui quasi 1,7 erano pazienti degli ospedali psichiatrici di Kocborowo e Świeć) e nella cosiddetta „Valle della Morte“ nei pressi di Bydgoszcz. Si stima che dal settembre 1939 all‘aprile 1940 il numero di Polacchi uccisi dai tedeschi nella sola Pomerania abbia raggiunto come minimo 30 mila persone. Il bilancio delle vittime nei territori annessi al Reich tedesco sarebbe però incompleto senza ricordare quasi 2 mila persone uccise in quel periodo a Poznań e altrettante vittime delle esecuzioni eseguite in Slesia. A Łódź e nei suoi dintorni le fucilazioni stroncarono la vita di circa 1,5 mila abitanti, in Mazovia - in particolare nelle zone di Ostrołęka, Ciechanów i Wyszków - di circa 6,7 mila persone.

Nel Governatorato Generale, a dar via alle repressioni furono arresti di massa dell’elite intellettuale avvenuti proprio l’11 novembre 1939, giorno in cui in Polonia si festeggiava l’Anniversario dell’Indipendenza Nazionale. Si suppone che essi avrebbero dovuto da un lato prevenire le eventuali manifestazioni anti-tedesche in quel giorno tanto importante per i Polacchi e dall‘altro dimostrare ai Polacchi il dominio totale dei tedeschi sul territorio occupato. Si tratta verosimilmente di circa mille persone incarcerate, fra docenti universitari, insegnanti di scuole medie superiori, giudici, avvocati, notai, medici, impiegati dell‘amministrazione statale, imprenditori industriali, membri delle associazioni dei mercanti e degli artigiani, nonché rappresentanti del clero cattolico. Nei luoghi di detenzione venivano picchiati e tenuti a digiugno. Anche se i Tedeschi liberarono relativamente presto gli arrestati (il loro fermo aveva paralizzato totalmente gli ospedali e frenato l‘attività economica) gli ultimi prigionieri tornarono in libertà solo dopo alcuni mesi, mentre a Lublino, sempre nell’ambito della detta operazione, le esecuzioni di detenuti preselezionati erano ormai all’ordine del giorno.

Negli elenchi di persone che dovevano essere fucilate furono inclusi - oltre ai succitati rappresentanti delle elites - attivisti politici, attivisti delle organizzazioni paramilitari, persone accusate di possedere armi e/o radioricevitori.

Gli arresti di novembre non furono che un preludio a un’operazione più vasta, quella di sterminio dei Polacchi, compiuta nel GG nella primavera del 1940. Sotto criptonimo di AB-Aktion (Außerordentliche Befriedungsaktion, Operazione straordinaria di pacificazione) essa fu finalizzata ad annientare tutti coloro che avrebbero potuto impegnarsi validamente nell’organizzazione della Resistenza o appoggiare gli oppositori. Negli elenchi di persone che dovevano essere fucilate furono inclusi - oltre ai succitati rappresentanti d’elite - attivisti politici, attivisti delle organizzazioni paramilitari, persone accusate di possedere arma e/o radioricevitori. Le esecuzioni di massa ebbero luogo in diverse località: a Palmiry nei pressi di Varsavia, a Krzesławice nei pressi di Cracovia, a Rury Jezuickie nei presi di Lublino. Si stima che nell‘ambito dell‘AB Aktion i  tedeschi abbiano ucciso circa 6,5 mila persone. Pochissimi arrestati cui era riparmiata la fucilazione furno deportati con trasporti di massa ai campi di concentramento di Sachsenhausen-Oranienburg e di Auschwitz.

Non di rado durante le operazioni punitive i Tedeschi uccidevano tutti gli abittanti del luogo senza badare al sesso o all’età delle loro vittime.

La fine delle operazioni repressive dei primi mesi dell’occupazione non significava l‘abbandono della strategia repressiva nei confronti dei Polacchi. La polizia tedesca senza tregua dava la caccia ai gruppi di oppositori, reali o ritenuti tali, colpendo con tutta la forza le strutture delle organizzazioni clandestine. Le persone arrestate, non perché accusate di aver commesso un qualche reato concreto ma perché sospettate di nutrire sentimenti anti tedeschi, avevano ben poca speranza di tornare in libertà. Di solito finivano in prigione per lunghi mesi di istruttoria, in condizioni di vita disastrose, in celle piccole e affollate, con razioni di cibo da fame, nessuna assistenza medica, continue angherie e vessazioni da parte dei secondini, il tutto per spezzare il morale del detenuto prima di sottoporlo ai continui interrogatori. Questi ultimi, condotti dai funzionari della polizia di sicurezza, si basavano su diverse forme di tortura; i prigionieri erano picchiati con bastoni di legno, con stanghe, con scudisci, con cinghie di cuoio. La polizia disponeva di speciali locali adibiti a tali „interrogatori“: vi si poteva appendere il prigioniero al soffitto legato per le braccia oppure legarlo sdraiato su un banco in modo tale da procuragli un dolore insopportabile mentre veniva picchiato. Difatti, succedeva che i prigionieri straziati da atroci torture morivano sul posto o ne uscivano con infermità permanenti. L’istruttoria era coronata da una seduta speciale della corte marziale di polizia (Polizeistandgerichte) che in realtà risultava essere tutta una farsa. Il prigioniero non aveva diritto di prendere parola, poteva solo assistere in silenzio al dibattimento. In pratica, le giurie di quelle corti non pronunciavano mai sentenze di assoluzione, decidevano soltanto se andava applicata la pena di morte o la deportazione per un tempo indeterminato in un lager. A decorrere dal 1942, i Tedeschi desistettero sempre più spesso da esecuzioni coperte da segreto e cominciarono a giustiziare pubblicamente i condannati a morte per impiccagione innalzando patiboli nei punti più nevralgici della città. Non solo Varsavia fu teatro di tali barbarie, ma anche tanti altri centri urbani.

Fin dai primi mesi dell’occupazione, la politica sterminatrice avviata dai Tedeschi colpì gravemente anche la popolazione contadina. Le azioni massicce di rappresaglia organizzate dalle formazioni di polizia sostenute dai reparti militari, erano causate da due moventi: il fatto che i contadini appoggiavano il movimento di resistenza, in particolare i partigiani e, di pari importanza per i Tedeschi, la necessità di estorcere ai contadini stessi i cosiddetti contingenti alimentari cioè la fornitura obbligatoria di cereali, patate, carne e di altri prodotti agricoli. Le rappresaglie effettuate all’epoca in quasi 800 paesini polacchi, seguivano grosso modo lo stesso scenario: la cosiddetta spedizione punitiva dapprima appiccava il fuoco a costruzioni prescelte e poi uccideva un certo numero di abitanti (da 5 a 50 persone). Molti villaggi subirono queste azioni punitive, che in realtà si traducevano in fucilazione o deportazione nei campi di concentramento di tutti gli abitanti maschi (che hanno superato i 16 anni di età), nell’espulsione di donne e bambini e nel dare fuoco a tutto, case e fabbricati. Non di rado durante le operazioni punitive i Tedeschi uccidevano tutti gli abittanti del luogo senza badare al sesso o all’età delle vittime. Le rappresaglie più spietate furono effettuate fra l’altro a Skłoby e nei suoi dintorni (aprile 1940 - oltre 700 ), a Michniów (luglio 1942 - 203 morti), Borów e dintorni (febbraio 1944 - uccise circa 1250 persone fra cui 300 bambini), Lipniak-Majorat (settembre 1944 - 448 morti). Durante l’occupazione molti contadini polacchi furono vittime individuali di esecuzioni, omicidi o bastonature, eseguiti su impulso spontaneo dei funzionari della gendarmeria locale.

Oltre alle suddette forme di sterminio diretto non va sottovalutata un’altra, altrettanto valida, direttiva della politica dell’occupante che mirava a rendere durissima la vita della popolazione polacca tramite il depauperamento generale, carenza di cibo, mancanza di assistenza medica, spazio di vita ristrettissimo e lavoro coatto. Le conseguenze fisiche e psichiche di tutto ciò continuarono a tormentare molti fra i sopravvisuti per lunghi anni dopo la fine della guerra. 

I dati dettagliati relativi alle perdite della popolazione polacca nel corso dell’occupazione tedesca sono a tutt’oggi oggetto di ricerca e verifica. Comunque il numero minimo di vittime è stimato attorno a un milione e mezzo (1,5 mln) fra uomini, donne e bambini.

Ritorsioni per il sostegno dato dai Polacchi agli Ebrei

Fin dai primi giorni dell’occupazione la politica antisemita condotta dai Tedeschi fu supportata dalla propaganda mirante a risvegliare nei Polacchi sentimenti di ostilità verso gli Ebrei. Per mezzo della stampa ufficiale, nonché di manifesti, films e mostre organizzate nelle città più grandi, si cercava di convincere la popolazione polacca a rompere ogni rapporto con le persone di nazionalità ebraica. Alla costituzione dei ghetti seguì l‘annuncio ufficiale che ai Polacchi sarebbero state inflitte punizioni più severe per ogni minimo gesto di aiuto alle persone in cerca di salvezza.

Una moneta della seria numismatica “ I Polacchi che salvarono gli Ebrei” emessa dalla Banca Nazionale Polacca NBP. Fra le centinaia di Polacchi che rischiando la vita decisero di aiutare gli Ebrei, le famiglie Ulm, Kowalski e Barnek ne costituiscono un esempio indubbiamente fra i più eloquenti: 1. Józef e Wiktoria coniugi Ulm di Markowa (Podkarpacie) furono giustiziati dai Tedeschi il 24 marzo 1944 insieme ai figli Stasia (primogenita, 8 anni), Basia, Władzio, Franuś, Antosia e Marysia e con tutti gli Ebrei da loro nascosti: sei membri della famiglia Szali di Łańcut e due figlie di Chalm Goldman. Il giorno dell’uccisione, Wiktoria era all’ultimo mese di gravidanza, portava in grembo il 7. figlio. 2. Wincenty e Łucja coniugi Baranek di Siedliska nei pressi di Miechów furono giustiziati il 13 marzo 1943 insieme ai due figli, Henryk (primogenito, 12 anni) e Tadeusz, con la madre di Wincenty, Katarzyna Kopeć, e con 4 persone della famiglia ebraica Koplewicz, da loro nascosta. 3. La famiglia di Adam e Bronisława coniugi Kowalski di Ciepielów nei pressi di Lipsko ed anche la famiglie di Piotr Obuchiewicz, di Franciszek Kasior e di Skoczylas ( in tutto 34 persone) pagarono il più alto prezzo per aver cercato di salvare i loro amici e vicini. Vedi link:

Il culmine delle restrizioni venne raggiunto con il decreto del governatore Hans Frank dell’ottobre 1941 che prevedeva la pena di morte per i Polacchi che avrebbero prestato aiuto agli Ebrei. „Gli Ebrei che senza permesso abbandonino il quartiere assegnato loro saranno soggetti alla pena di morte. Alla stessa pena saranno soggette le persone che agli stessi Ebrei offrano deliberatamente nascondiglio. Gli istigatori e i complici sono punibili colla stessa pena che spetterebbe all’autore del reato, mentre il solo tentativo di reato è punibile come il reato effettivamente compiuto“. L’anno successivo, quando i Tedeschi posero in atto la liquidazione dei ghetti deportando i loro abitanti nei campi di sterminio, il detto decreto venne precisato nei dettagli. Ogni aiuto agli Ebrei era punibile con la pena di morte, quindi fu vietato di offrire loro pernottamento, cibo, trasporto con qualsiasi mezzo, e di comprare le merci da loro offerte ecc. La pena di morte fu prevista anche per chi pur sapendo degli Ebrei trovatisi fuori dal ghetto non li denunziava alle autorità tedesche. Nel distretto di Radom il suddetto decreto dettagliato fu integrato con un’ordinanza del comandante della polizia locale Herbert Böttcher che nei casi in cui in una casa abitata da Polacchi fosse stata rinvenuta un’arma o un Ebreo ivi nascosto, tutti i coinquilini, compreso i bambini, sarebbero stati fucilati e la casa bruciata. Tutte queste azioni dovevano servire d’avvertimento per altri Polacchi propensi ad aiutare gli Ebrei in fuga dal ghetto.

Esistono numerosi esempi di uccisioni di massa eseguite dai Tedeschi a danno di intere famiglie polacche solo perché nascondevano gli Ebrei o offrivano loro il cibo.

I Tedeschi pepretarono numerose uccisioni di massa di intere famiglie polacche solo perché nascondevano gli Ebrei o offrivano loro il cibo. Molte di quelle tragedie si consumavano in campagna, dove i contadini polacchi aiutavano i fuggiaschi dal ghetto nascosti nei boschi e con venire dell’inverno offrivano loro un nascondiglio più riparato nel proprio casale. Il più ampio tributo di sangue fu quello degli abitanti di piccoli paesini vicino a Ciepielów nei pressi di Radom. Nel dicembre del 1942 e nel gennaio del 1943 i Tedeschi vi effettuarono tutt‘una serie di esecuzioni amazzando più di 30 persone, fra cui le intere famiglie dei Kowalski, Kosior e Obuchiewicz. La metà delle vittime non aveva compiuto i 16 anni di vita. Le loro case furono saccheggiate dai Tedeschi e bruciate insieme ai corpi delle vittime. I carnefici costrinsero più tardi i vicini Polacchi a tirare fuori dalle rovine i corpi bruciati delle vittime. Un analogo sviluppo ebbe l’esecuzione effettuata dai Tedeschi nel marzo 1943 nella località di Siedliska nei presi di Miechów, dove vennero uccise 5 persone della famiglia Baranek, rea di aver nascosto un Ebreo. Ma al rango di simbolo della tragica sorte che spettava ai contadini che coraggiosamente nascondevano gli Ebrei assurse quanto avvenne nel marzo 1944 a Markowa, nei pressi di Łańcut. I coniugi Ulma decisero, a rischio della loro vita, di nascondere nel loro casale otto persone. I Tedeschi, informati di ciò da qualche delatore, uccisero Józef Ulma, sua moglie Wiktoria, in avanzato stato di gravidanza, e i loro sei piccoli figli. Furono sterminati anche tutti gli Ebrei da loro ospitati. L’eccidio tuttavia non scoraggiò i compaesani che riuscirono a nascondere ben 20 persone d’origine ebrea, tutte sopravvissute alla barbarie della occupazione tedesca.

I Tedeschi, informati da qualche delatore del nascondiglio, uccisero Józef Ulma, sua moglie Wiktoria, in avanzato stato di gravidanza, e loro sei piccoli figli. Furono giustiziati anche tutti gli Ebrei da loro ospitati.

Fra i Polacchi che pagarono il prezzo più alto per aver aiutato gli Ebrei si trovano anche numerosi abitanti di città, fra cui, per esempio, la famiglia Wolski di Varsavia che in un giardino adiacente alla loro casa aveva costruito un rifugio sotterraneo per 40 persone d’origine ebraica in cerca di salvezza, fra cui Emanuel Ringelblum, noto storico e importante cronista del ghetto di Varsavia. Nel marzo del 1944, a seguito di una delazione i Tedeschi rintracciarono il nascondiglio e uccisero tutti, gli Ebrei e i loro protettori polacchi..

Gli atti di solidarietà e di aiuto da parte dei Polacchi furono indirizzati anche agli operai ebrei detenuti nei campi di lavoro forzato presso stabilimenti industriali in servizio alle forze armate tedesche. A Częstochowa, Kielce, Ostrowiec, Pionki e in tante altre località i dipendenti polacchi fornivano agli Ebrei un po‘ di cibo affinchè questi potessero rimettersi in forza e così salvare la vita. Il rischio che correvano è illustrato dalla tragica sorte di un giovane fabbro, Tadeusz Nowak, che lavorava negli stabilimenti di Skarżysko-Kamienna. Catturato nell’aprile del 1943 mentre consegnava agli Ebrei un po‘ di pane, venne impiccato sul luogo in presenza di altri lavoratori costretti ad assistere all’esecuzione. Venne appeso alla forca con le mani legate dal filo spinato e con una tavola legata al collo che portava la scritta „per l‘aiuto agli Ebrei e il contrabbando delle lettere

Non conosciamo il numero preciso di Polacchi giustiziati dai Tedeschi per l’aiuto dato agli Ebrei. Allo stato attuale di conoscenza possiamo affermare che si tratta di almeno 1.000 persone. Il numero di Polacchi che per tale motivo furono arrestati, imprigionati e deportati nei campi di concentramento è di gran lunga superiore.

I Polacchi arrestati per aver aiutato gli Ebrei riusciti a sfuggire alle esecuzioni, venivano di solito deportati nei campi di concentramento. Nella documentazione conservata negli archivi troviamo numerose testimonianze di tale procedura applicata dalle autorità tedesche. Ad esempio nel 1943 i Tedeschi deportarono al KL Auschwitz tre abitanti di Szydłowiec, Wincenty Kołba, Stefan Erbel e Marian Nazimek, che presumibilmente procuravano documenti falsi agli Ebrei e comunque li aiutavano nascondersi. I primi due, nonostante fossero poi trasferiti dal KL Auschwitz ai KL di Buchenwald e Mauthausen, riuscirono a sopravvivere fino alla liberazione, mentre non è conosciuta la sorte di Nazimek, trasferito al lager di Flossenbürg. Lo stesso anno i Tedeschi arrestarono un gruppo di abitanti di Kozienice accusati di aver nascosto degli Ebrei. E’ accertato che due dei catturati furono deportati al KL Auschwitz e poi trasportati in altri campi: Paweł Wachłaczenko riuscì a vedere la liberazione del sottocampo di Flossenbürg a Leitmeritz (Litoměřice) mentre Jerzy Burghardt probabilmente morì a Mauthausen. Ad Auschwitz venne ucciso, sempre nel 1943, un abitante di Radom, Marcin Kowalik, “colpevole” di aver recapitato al destinatario una lettera privata scritta da un abitante del ghetto. Citiamo questi pochi nomi a titolo d’esempio, perché la lista dei Polacchi finiti in carceri, prigioni, campi di concentrazione sembra non aver fine.

Non conosciamo il numero preciso di Polacchi giustiziati dai Tedeschi per l’aiuto dato agli Ebrei. Allo stato attuale di conoscenza possiamo affermare che si tratta di almeno 1.000 persone. Il numero di Polacchi che per tale motivo furono arrestati, imprigionati e deportati nei campi di concentramento è di gran lunga più superiore.

Dott. Sebastian Piątkowski

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